2013_10_08_sorella Marialuisa con due dei suoi ragazzi (1)Ciao a tutti,
questa sera, dopo aver sistemato i nostri conigli e le nostre caprette, visto che finalmente il nostro impianto solare ha ripreso a funzionare al meglio (almeno per il momento), grazie alle batterie nuove e non dobbiamo più preoccuparci di chiudere in fretta e furia il computer per non perdere quello che avevamo scritto, ho pensato di raccontarvi qualcosa di bello che abbiamo vissuto nei giorni scorsi, vi va?
Allora, lunedì 21 ottobre siamo andate, con i nostri bimbi delle case famiglia (Indrà, Jeet, Rekha, Dipak e le loro “didi” Asu e Monisha) e i due fratelli salesiani, al tempio di Barra Chattra.
Partenza ore 8.30 con pranzo al sacco, solo che invece dei panini al salame o al formaggio che si mangiano durante la “gita lunga” dei campeggi, abbiamo portato riso pestato e carne (il piatto tipico di questi giorni di festa). I bambini erano pronti con i loro vestiti nuovi e, dopo il movimentato viaggio in pullman da Banghé (circa 40 minuti), siamo arrivati a Chattra e abbiamo iniziato una bella camminata di quasi due ore per raggiungere il tempio. Il paesaggio circostante è molto bello: prima si attraversano le vie strette piene di negozietti del paese e poi si sale lungo una strada sterrata (se fossimo sulle nostre montagne diremmo una mulattiera), lasciando nel fondo valle il fiume Koshi, che da qui arriva fino in India.
“Come è lungo” continuava a dire la nostra Rekha, che per la prima volta vedeva così tanta acqua tutta insieme. Jeet e Dipak hanno fatto a turno a portare le bottigliette di acqua che avevamo preparato per il “viaggio”, mentre Monisha e Asu facevano esercizio di inglese con i due fratelli lungo la via.
Arrivati finalmente in cima, i bimbi, da bravi indù, sono andati a fare il loro “puja” con Asu che aveva procurato i bastoncini di incenso per tutti e che in qualità di sorella maggiore dava le direttive su come e cosa bisognava fare.
Poi siamo andati a mangiare in uno dei piccoli “bar” che ci sono in prossimità del tempio, dove ci hanno riservato una tettoia e una stuoia e quando abbiamo chiesto quanto dovevamo per il disturbo, ci hanno detto di tornare pure quando volevamo, senza preoccuparci di dover pagare “il coperto”!
Dopo pranzo, un salto al fiume e poi giù di corsa, per non perdere l’ultimo pullman delle 16.30.
Il più stanco di tutti, alla fine della giornata era fratel Samuel!!!! Il nostro Indrà, invece, era quanto mai in forma, e anche sulla strada del ritorno non ha smesso di giocare a rincorrersi con Rekha. E pensare che fino a un paio di anni fa anche solo arrivare a Banghé per lui era tanto faticoso. Miracoli della medicina?!?
La piccola Rekha, invece, tra una corsa e l’altra, non perdeva l’occasione di prendere una di noi sorelle per mano, tanto che l’abbiamo soprannominata “Fevicol” (la traduzione nepalese di Vinavil!). Ma lei ci ha tenuto a sottolineare, davanti ai suoi amici, che il suo nome non è Fevicol e nemmeno Rekha Sardar, ma Rekha Katwal, come la sua “mamma adottiva”. Si sente talmente parte della famiglia che la ospita, che si considera come una figlia! Per noi è tanto significativo, è un segno dell’affetto che ha ricevuto e che riceve nella casa famiglia, di quanto si senta a suo agio e di quanto bene voglia alla sua “anti”. Anche Rekha è tanto affettuosa, servizievole e disponibile con tutti al punto che l’altra ragazza che è ospitata nella stessa casa famiglia, Yesukala, che in questo periodo di vacanza è andata a trovare gli zii, è venuta a prenderla per portarla a stare con sé qualche giorno, facendo più di un’ora di strada a piedi.
Quando ci si vuole bene….
IndiaNepal 511L’altro giorno, invece, è venuto uno dei tanti ragazzini che vanno in giro a cavallo di una bicicletta più grande di loro in cerca di rottami da rivendere. Avrà avuto circa 14 anni, come il nostro Jeet, ha lasciato la scuola quando era in quinta e adesso vive a Chakargatti con lo zio, perché i suoi genitori sono in India.
Gli abbiamo dato due scatoloni dove avevamo ammucchiato vecchi pezzi di rete e qualche latta vuota di vernice. Lui ha selezionato con cura la merce che gli interessava e poi ha tirato fuori la bilancia, per pesare il tutto e pagarci il dovuto. Quando gli abbiamo detto che non volevamo i soldi, ha insistito tanto perché li prendessimo, poi davanti al nostro rifiuto, ha continuato la sua cernita. Finito il lavoro ci ha chiamato, perché aveva trovato due monetine nello scatolone (chissà come avevano fatto a finire lì!) e ce le ha date, dicendo che non voleva rubare niente ed è ritornato alla carica per pagarci. Ha lasciato perdere solo quando gli abbiamo detto di considerare queste 50 rupie come il regalo che gli facevamo per la festa di Tihar.
In questo giorno, infatti, è tradizione che le sorelle maggiori facciano un regalo ai loro “fratelli” (questo termine è da intendersi in senso allargato, non solo relativo ai membri della propria famiglia). Così anche lui è diventato uno dei nostri “fratellini”.
Non accadono solo cose belle qui in Nepal; sempre ieri si è suicidata una giovane mamma di circa 25 anni, dopo un litigio con la  sorella. Lascia due bimbi piccoli e il marito, che è a Dubai a lavorare. La sua mamma piangeva disperata sul retro della casa, mentre portavano via il cadavere. Sono diverse le persone, qui in Nepal, che si tolgono la vita. Il cuore dell’uomo è sempre un mistero, così profondo e così insondabile, non solo per chi ci vive accanto, ma tante volte anche per la persona stessa.
Siamo state a trovare Ram in questi giorni. Continua con passione il suo lavoro di intaglio. Parlando, ci ha segnalato il caso di una ragazza di Ekrai che ha una cisti da togliere, ma la sua famiglia, molto povera e con il papà ubriacone, non ha i soldi per l’intervento. Ram diceva che anche lui, adesso che guadagna qualcosa con il suo lavoro, può contribuire e contatterà i suoi amici per vedere se riescono a mettere insieme i soldi.
I poveri che aiutano i poveri….
Speriamo di non avervi stancato più di tanto. Vi abbracciamo ad uno ad uno e vi salutiamo con un grande NAMASTÉ!

Le sorelle del Nepal